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A scuola fino a luglio? Perché i docenti dicono di no.

Scritto da VINCENZO SODDU

18 Febbraio 2021

La paventata proroga dell’anno scolastico da parte del nascente governo Draghi fino al 30 giugno prossimo ha prodotto dure reazioni all’interno della classe docente. Gli insegnanti infatti si sono sentiti ancora una volta sotto attacco, e proprio nel bel mezzo di un altro anno difficile per la
didattica come quello attuale.
Rimodulare il calendario scolastico dell’anno in corso, per recuperare i “numerosi giorni persi“, è affermazione che non può essere accettata semplicemente perché non risponde al vero, e francamente pare anche difficilmente attribuibile allo stesso Premier. Non ci sono stati giorni persi semplicemente perché quest’anno, a differenza del precedente, si è applicato il calendario scolastico dall’inizio dell’anno, Dad o meno. Ore di cinquanta minuti, con dieci minuti di pausa, ma sarebbe stato impensabile fare diversamente. Ce lo dicono i vari studi condotti sulle soglie di attenzione e le stesse conseguenze negative dovute a un eccessivo uso degli strumenti tecnologici ai fini dell’apprendimento. Diverso è il discorso sulla qualità dell’insegnamento, non dipendente certamente dai docenti ma dalle contingenze. In questo senso vi sono diecimila docenti precettati nel contesto dell’emergenza Covid che se ne potrebbero occupare pienamente e in qualsiasi momento.

Sabato scorso ero a scuola in presenza, facciamo una settimana in aula e una da casa. Quest’anno ho la fortuna, perché di fortuna si tratta, di far lezione in una Terza e in una Quarta superiore, entrambe di dodici alunni ed entrambe impegnate in questo splendido progetto de La Nuova @ scuola. Una ricerca di qualche anno fa fissava proprio in dodici il numero giusto di studenti in grado di seguire una lezione senza restare esclusi dall’azione educativa dell’insegnante. Tutti attenti, tutti coinvolti nelle attività, tutti centrali nella fase di verifica delle prove.
Questa credo sia la strada da seguire per migliorare la qualità della scuola, piuttosto che imporre fantomatici recuperi di ore non effettuate. Mettere un freno alla creazione di classi pollaio, affiancare all’insegnante curricolare un insegnante di sostegno. Mettere fine al carico di responsabilità convergenti tutte sul prof della singola ora e assumere altri docenti che possano curare gli aspetti sensibili che emergono nel corso della lezione.
Ieri, quei dodici studenti erano felici, è chiaro, di essere finalmente in presenza, ma io, in meno di un’ora, sono riuscito a capire molto di loro, di come ragionano, di quanto hanno lavorato a distanza, ho potuto parlare con ognuno di loro di educazione civica e di motivazione allo studio e tutto questo perché loro erano dodici e non ventidue, e noi eravamo due, io e la collega di sostegno.
Non ci sono miracoli per la scuola, ma la ricetta è molto semplice: ridurre il numero di alunni per classe e aumentare il corpo docente, tutto il resto è propaganda.

Gli insegnanti, questa categoria incompresa.
In realtà la radice di questa incomprensione atavica tra la politica e la scuola deriva dalla convinzione che gli insegnanti lavorino soltanto nelle ore che trascorrono in classe, fisica o virtuale che sia. Vengono dimenticate le ore dedicate ai collegi dei docenti, ai consigli di classe, alla programmazione e ai colloqui. E vogliamo parlare del lavoro che i docenti svolgono a casa e da casa? Le lezioni che devono essere preparate, le verifiche corrette e valutate, ogni strategia didattica che deve essere pensata e messa a punto. Per non parlare della responsabilità nei confronti degli alunni minorenni per tutto ciò che succede in classe, ancora una volta fisica o virtuale. Non parliamo nemmeno della possibilità, che a volte si è drammaticamente concretizzata, di esser aggrediti fisicamente da genitori che non tollerano la minima frustrazione per i loro figli. E le ferie? Chi fa gli esami di maturità finisce di lavorare a luglio inoltrato, comunque.
Aldilà delle indiscrezioni non verificate, pare che Draghi abbia affermato la necessità di riforme “per ridurre l’abbandono scolastico, per aumentare il numero dei laureati, soprattutto di quelli che scelgono materie scientifiche…”. Ecco, la strada da seguire, anche in questo caso, è soltanto quella della qualità, non della quantità.

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